Da un terriccio 2.0 – La nuova raccolta di D. Campanari
Daniele Campanari, Corpo disumano, Oèdipus, marzo 2017
La Poesia ha un suo uso moderno. Quando l’autore si permette un registro le cui radici sviluppano da un terriccio due punto zero. Dai poli di facebook, instagram e lo street food; ma anche il Tg o un ricordo del millenovecentonovantanove. La poesia può ogni cosa. Se si tratta di tensione, strappo dall’usuale, enigma della faccia di lei. Nei versi di Campanari l’enigma rimane, e si legge faccia. Non viso, né volto, una stonatura, la più moderna dissonanza, uno che non si trattiene, al sogno, al segno, al più contro il meno che a volte non è assenza. Piuttosto presenza del lontano, o la disumana distanza di un Io altro da sé. E si ripete.
Ho fatto un sogno, che strano, dico: un sogno
come se non fosse mai capitato.
e in effetti è così: non è mai capitato
è successo, pensato
non una partita, una sconfitta, neanche una vittoria
o uno scialbo zero a zero di provincia
un sogno cercato in cui c’eri tu, in cui c’ero io
e una proiezione ottagonale di alberi con foglie verdi
una proiezione ottagonale e basta.
così ho detto: basta
ma c’eri tu, ma c’ero io, ma c’erano gli alberi e una strada che
a dirlo con respiro controllato, non era grigia e neanche calda.
ma c’eri tu, ma c’ero io, ma c’erano gli alberi e un filo spinato
per cui ero dirimpettaio
un pacco grosso di almeno dodici organi, un pezzo di –uco* e una strada ghiaia.
ma c’eri tu, ma c’ero io, ma c’erano gli alberi.
*-uco: cognome proprio di persona, una lei. Solo in parte, un pezzo.
Investe di anafore il testo, il senso, una voce che reitera la storia, gli errori, i fantasmi e gli stupori. E se è con la Vita che si sta avendo a che fare, allora ben vengano le parole faccia, fascinosa, o il verso e ti penso un sacco, nella sera che è tarda, dove l’attenzione va al “che è”, la sera che è, tarda o meno comunque è, e non c’è spazio al dormire, sì al pensiero di lei – donna, musa, aerea interlocutrice del che fai la sera, del dove sei cui solo Poesia risponde senza enunciazione, senza annunciarsi. Ovunque sia, immaginaria, di carne o parola sola, nello spazio del pensiero.
E Daniele Campanari con Corpo disumano ci offre questo, lo spazio per pensare, per meditare in modo oculato sulla cronaca dei secondi, dei giorni, degli anni, per raccontarci chi siamo / cosa perdiamo se non siamo /perché viviamo quando siamo.
E di disumano non c’è altro, ce lo rivela l’ultima pagina, se non il comportamento del finto-sordo o del falso-cieco nel cerchio delle circostanze. Persone vicinissime a ciascuno, senza il coraggio di ammettere la dialettica degli sguardi dove l’autore non manca di coraggio, e altrettanta rara pietà. Quella di chi non ha niente cui credere se non la grazia e la croce concessa dalla scrittura per la consapevolezza di chi c’è, ci sarà sempre. Qualcuno che sa come ci si sente.
Alessia Iuliano
Alcune poesie :
quel bottone stringe sulla camicia
la sera, la sera che è tarda, la sera che dovrei già dormire
e ti penso un sacco
tu che fai la sera, la sera che è tarda
domando, solo la prima delle domande
poi ci sono dove sei, dove sei quando non ci sono
e quanti anni hai scritto sul curriculum
anni di violente partite mentali, sicuro, anni girati di schiena.
quel neo, mi domando, quel neo sulla provinciale della narice
solo queste quelle che faccio vedere
ma prima di rimproverare gli occhi per averti guardata
una domanda, ancora, permetti: quel bottone stringe sulla camicia
*
se mai con le mani ci suonerai qualcosa
non eravamo buoni in quella lista da depennare
non eravamo il momento;
ma nella parola momento c’è il tempo impegnato
dalla lingua per scavalcare i denti e cos’altro.
quanto eravamo lenti, vero, la mattina è il preascolto della giornata
e per gli altri, questi in fila, come fai a tenere l’angolo in disuso.
cosa non va nell’apparire come carne propria
le cose che fai e non dici, queste cose sono fasi
semmai infilzaci, infilaci il berretto semmai
se mai con le mani ci suonerai qualcosa
*
Nota comparsa per la prima volta su clanDestino