Di prodigi e visioni: l’irriducibile grazia di Francesca Serragnoli

Francesca Serragnoli, Non è mai notte non è mai giorno, Interno Poesia Editore, 2023

«I libri della Serragnoli sono creature astrali, imprendibili, che non è dato umiliare con la vivisezione di alcuna critica». Isabella Bignozzi così conclude la sua intensa prefazione all’ultima prova poetica di Francesca Serragnoli, Non è mai notte non è mai giorno, Interno Poesia Editore 2023; in effetti, proprio con questa imprendibilità che sfugge alla critica del misurabile ha a che vedere l’impressione con cui questo volume mi lascia sola a fare i conti. Un’impressione che si rinnova dopo ben più di quattro o cinque mesi dalla mia prima lettura e che, inevitabilmente, mi porta a credere certa una cosa: i versi, i testi, e finanche le piccole illustrazioni che si susseguono nella misurata composizione realizzata dalla Serragnoli, sono permeati di un’irriducibile e pure ariosa grazia.

Scrivo grazia perché non sarebbe esaustivo, in verità, parlare soltanto di visione, sebbene di visione indubbiamente non sia sbagliato parlare davanti a versi come «il tuo sorriso è una fiamma sigillata nell’ambra» o ancora «quegli occhi lì/ […] arcipelaghi di una deposta armonia» o quando pochi versi dopo, nella stessa poesia, la Serragnoli ci offre «una notte che ingoia le sue stelle/ come il veleno di un angelo». Immagini così non si manifestano a chiunque, forse possono essere bramate e magari invano tentante (con esiti posticci perlopiù); visioni del genere accadono nello spazio del prodigio, che rende sacra ogni creatura; questo è lo spazio in cui dispiega le ali il verso e la poetica della Serragnoli, uno spazio dove terreno e divino non soltanto si guardano ma si attraversano l’un l’altro, e la poesia assume anche la veste di preghiera: «e se brucia e se ghiaccia/ fa’ o Signore che la mia mano/ si sciolga in cera/ si apra come una cerniera […]». “Una cerniera”, che non si tratti sempre di un varco? Tanto che la poetessa probabilmente lo attraversa, immersa completamente, quando scrive «fra una parola e l’altra/ s’allarga un lago/ che le mie mani/ non arrivano più a toccarsi». Siamo ancora qui, tra quel né notte né giorno, sulla soglia dell’indecifrabile perché è proprio qui, in questo scovare ovunque il mistero, che si gioca il destino di una donna o di un uomo e pure della sua arte. E Francesca Serragnoli, persona e poi poetessa, è proprio nell’occhio del mistero-ciclone, ne ha accolto il senso profondo al punto che per il vento della sua poesia cadi innamorato di quella pienissima grazia; che sta nella visione – dicevamo – ma non solo. Qui c’è anche del miracoloso, quella pienezza che, lo sapranno gli uomini di fede, i bravi poeti e soprattutto i bambini, si moltiplica senza dare ragione; è per pura grazia, infatti, che «il pianto e il riso/ aprono e chiudono la stessa rosa».

Ecco, siamo proprio davanti a quell’irriducibilità di cui parlavo all’inizio, con quale altra postura se non con «un braccio in mare uno in cielo» si potrebbero leggere versi come «ogni volo ha una parete piena di mani// ogni volto ha quella volpe/ che taglia la strada/ quella tana lontana da ogni carezza»?

E poi, dicevo, anche arioso che è di versi sciolti, chiari, dove ogni parola è passata al vaglio del necessario contribuendo ad una danza di suoni che si rincorrono e intrecciano anche nell’ultima delle sei sezioni di cui la raccolta si compone, dove i testi assumono una forma più prosastica continuando, che bello, a custodire quella grazia, ancora una volta, magica, di creatura della terra e delle stelle (perifrasi con cui da qualche anno sento di poter descrivere anche il mio cammino nel mondo); forse un modo, questo di appellarla, tutto strano per omaggiare una voce poetica che non ha certo bisogno di queste poche righe; non conosco Francesca Serragnoli personalmente da poterle dire: Francesca, mi sei così vicina, ma così vicina che un po’ io a questo tuo libro sento di appartenergli.

*
Tesoro mio che fai
quale stanchezza
ti chiude gli occhi
come cimiteri

il bassorilievo ha la spina curva dell'angelo
la testa china sul petto
le ali piantate come pali
le dita rotte

il vento e la fiamma cenano
di quel pane spezzato

oh non sai
quando la moria delle tue mani
si alza nuovamente in volo

e un triangolo migra
di rosa in rosa

stendo nel petto un continente
scavato da un fiume
un braccio in mare uno in cielo

l'acqua, clochard dei suoi ponti
corre sotto i tuoi occhi

e quando li chiudi nudi sui miei
dal cuore scende
il matto di Amarcord.

*
Ogni volo ha una china nera
che disegna la notte

ogni volo
è un pazzo in fiamme

è la corsa nuda di una donna
inseguita dal fuoco

ogni volo ha una parete piena di mani

ogni volto ha quella volpe
che taglia la strada
quella tana lontana da ogni carezza.

*
Camera 6
Il sole
Il sole sul letto, il sole magnifico delle bestie giornate estive.
Che abbaglio distante, sole d'altri, estate d'altri, asfalto, tubi. Agosto in clinica, vacanze mortali.
Purificami, o Signore, sarò più bianca della neve. Burattino di bambino da ardere.
Bere la propria sete come un lievito di pena.
L'agosto assolato. Come brilla l'auto, tutto il parcheggio sembra il tesoro di una strega.
Parlami del sole, di quando, sdraiata sul prato, avevi la pelle calda e di quando erano le 2, dopo pranzo, d'estate. Erano solamente le 2, nient'altro.

Nota comparsa per la prima volta su clanDestino

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