Il visionario di Buenos Aires, una scoperta per l’Italia. A cura di A Iuliano.

Mi hanno parlato di lui a Buenos Aires alcuni poeti e poetesse. “Devi conoscerlo” dicevano.

Ed ecco un po’ di notizie una intervista e alcune poesie di un uomo lucido e sofferente, di uno di quei sensori “impazziti” del nostro tempo ( come lo fu Campana) che rilasciano in poesia segnali, visioni, schegge di luce e di oscurità che ci fanno vedere meglio il volto nostro e del tempo che viviamo. La sua poesia intensa, deviante, piena di supplica e di altezza – le cose non sono distinte- ci lascia un disagio e una energia. Come ogni voce autentica. 

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Jacob Fijman        

 

Il 25 Gennaio 1898 nell’attuale Romania  nasce Jacobo Fijman.

Nel 1902 i suoi genitori decidono di emigrare in Argentina.

Nel 1917 conclude gli studi secondari e viene ammesso alla Facoltà di Lingue Moderne  di Buenos Aires.  Si specializza in filosofia antica, greca e latina. Nel corso degli studi acquisisce anche conoscenze matematiche. Sue passioni sono la pittura e la musica classica, suona il violino ed è attratto dalla spiritualità dei canti gregoriani.

Una volta laureato trova lavoro come insegnante di francese in una scuola secondaria femminile a Belgrano ma, sprofondato in una crisi oscura, intraprende un viaggio per esplorare l’Argentina guadagnandosi da vivere come  musicista di strada, ha  21 anni e le  sue prime poesie già hanno forma e stile.

Al suo ritorno, nel 1920, Buenos Aires gli tira un brutto gioco, sulla porta di un ufficio della questura della città, in un episodio tutt’ora poco chiaro, rischia di essere picchiato. Fijman si getta a terra urlando:” Io sono il Cristo Rosso … non mi colpite,non mi colpite !”  Viene arrestato e portato al carcere di Villa Devoto.

Dopo una serie d’ inchieste sulla sua vita privata viene immediatamente trasferito all’ospedale di Mercedes. Registrato il 17 gennaio  1921, lì  rimane fino al 26 luglio dello stesso anno. All’interno è sottoposto a punizioni corporali ed a scariche di elettroshock.

Lasciato l’ospedale Fijman  intraprende una vita dedita alla parola  e pubblica una serie di articoli per il settimanale Mundo Argentino e per la rivista israeliana Vida nuestra.

Nel 1923 un gruppo di giovani scrittori guidati da Oliver Girondo, Macedonio Fernández, Jorge Luis Borges e Leopoldo Marechal, promuovono  la rivista Martin Fierro,  di arte e  libera critica. Tre anni più tardi, Fijman viene invitato ad unirsi a loro.

Il 1 Settembre 1926, pubblica Mulino Rosso. Il suo primo libro di poesie, in un momento di grande instabilità politica e sociale. Il titolo viene immediatamente associato all’anarchia ed ai movimenti socialisti.

Nel momento cruciale del surrealismo Fijman  salpa verso la Francia. Un  viaggio durante  il quale cade in una crisi spirituale, nel 1929 si battezza e converte al cattolicesimo, lui nato ebreo. Nello stesso anno pubblica il suo secondo libro Fatto di stampe, che è ben accolto.

Nel 1931 pubblica il suo terzo e ultimo libro, Stella del mattino.

Dopo  la pubblicazione  la sua situazione economica peggiora. È costretto a vivere in una casa popolare e smette di suonare il violino. Nessuno dei suoi amici o familiari lo cerca .

Nella primavera del 1942, si verifica un raid della polizia federale nella mansarda  dove trascorre le sue giornate .  Secondo la dichiarazione della polizia, in quanto “colpito da disturbi psichici”  Fijman deve essere condotto  all’ospedale neuropsichiatrico J. T. Borda (Buenos Aires),lì  rimane  fino al giorno della sua morte.

Nel 1952 un suo vecchio amico, Osvaldo Dondo,lo cerca e lo aiuta ad essere dimesso dal  Borda.

Tra  1962 e 1964 la maggior parte del suo lavoro viene raccolto come parte di antologie; attirando l’attenzione dello scrittore e avvocato Vicente Zito Lema. Dopo aver fatto amicizia con il poeta, Lema lotta per ottenere la sua tutela, riuscendoci nel 1968. Nel maggio del ’69  ,un anno prima della morte del poeta, Lema pubblica sulla rivista Talisman un’ intervista che Fijman  rilascia nel novembre del  ’98.

Nel 1970, muore presso l’ospedale Borda,secondo i  medici, per edema polmonare.

“al principio era il verbo”. Io volevo trovarlo.

 

[intervista condotta nel novembre 1968 da V.Z. Lema a Jacob  Fijman presso l’ ospedale neuropsichiatrico J.T.Borda di Buenos Aires, pubblicata sulla rivista Talisman nel maggio del 1969.]

  

V.Z.L Qual è  il tuo rapporto con  i colori, soprattutto col bianco, rosso e nero?

J.F : I colori principali sono due; il viola e il verde.  Secondari sono invece il rosso, il giallo,l’ arancio e il blu. Io personalmente preferisco il  bianco e il nero. Vorrei esser sempre vestito tutto di nero e con  guanti bianchi. D’altra parte sono loro i primi due colori citati nella Genesi.  Separò la luce dalle tenebre … Amo il bianco, il nero è un po’ malinconico come  pure il rosso. Ah! Un incidente aereo viene associato al fuoco. Ma il segreto è  capire  cosa sta dietro un incidente.

 

V.Z.L: Come senti la poesia?

J.F :  Si tratta di uno stato d’animo, la  poesia viene prima di qualsiasi  riflessione. Io ho avuto un’infanzia poetica. Fin da bambino ero chiamato il poeta.

 

V.Z.L Quali autori hanno avuto una maggiore influenza sulla tua formazione letteraria?

J.F :  Nella mia infanzia tutte le opere  di Sherlock Holmes; che mi ha aiutato, poi, a fare una critica a Dostoiesky, che si vantava dei suoi romanzi psicologici; anche il negro di Pietro il Grande  di Pushkin  e Victor Hugo. Fondamentalmente nessuno ha avuto un’influenza decisiva su di me, anche se ho letto molto; soprattutto san Tommaso d’Aquino, tutti i maestri della patristica greca e latina.

 

V.Z.L Qual è il tuo segno?

J.F :  La parola; che è un simbolo. È un cammino, una croce, il simbolo di S. Atanasio.

 

V.Z.L C’è una sorta di similitudine tra la tua poesia e  l’uomo a cui hanno tagliato la lingua per non mentire?

J.F :  Sì. In primo luogo che “al principio era il verbo”. Io volevo trovarlo.

 

V.Z.L Come sarà valutato un omicidio?

J.F :  Quello è il valore di un omicidio, il colpevole  va all’inferno. Si tratta di un peccato di seconda modalità. La prima consiste già nel pensarlo. In generale, la decapitazione è  il più facile tra i metodi di uccisione. La più spaventosa è l’impiccagione. Ma deploro le uccisioni.

 

 

V.Z.L Qual è il significato dei titoli di ogni suo libro?

J.F :  Mulino rosso ricorda il delirio,le vertigini. Ero alla ricerca di un titolo per questo lavoro che avrebbe affermato alcune mie certezze e notai un vecchio mulino piccino che avevo come soprammobile in  cucina. Rosso . Un macinapepe. In quel momento ho realizzato quale fosse lo scopo della mia poesia e scelsi quel titolo. Stella del mattino invece si riferisce agli stati mistici che avevo acquisito in quegli anni. Ero  stato battezzato diventando un cattolico, volevo esprimere con questo titolo l’incarnazione della verità. Per quanto riguarda Fatto di stampe, ho cercato di tornare alla filosofia scolastica; in fondo anche ad Aristotele. In una visita al Louvre sono rimasto impressionato dai maestri classici, e da quei dipinti religiosi. Quando poi ho visto alcune immagini vi ho associato le mie poesie. Quindi il titolo Fatto di stampe si riferisce a questo mio passaggio.

 

V.Z.L Fino a che punto la malattia mentale può influenzare un’opera d’arte?

J.F :  Il musicista Corelli  ha scritto una sonata, “La follia”, dopo aver studiato queste malattie. Dopo averla eseguita, è uscito per incontrare gente,  si è reso conto come fossero tutti matti. Ho studiato psichiatria, e so che i ciechi e i sordi  normalmente sono pazzi. Per quanto riguarda il mio lavoro, i medici dicono che non ci sono segni di malattia. In effetti  non vi è nulla nella mia poesia contro la grammatica.

V.Z.L Il fatto che tu sia  un violinista  in qualche modo influenza la tua poesia?

J.F :  Certo, nella misura. La mia poesia segue una misura è tutta una misura. In questo modo è vicina alla musica.

 

V.Z.L Qual’ è la tua visione della realtà?

J.F :  La realtà è un ente,  l’ideale della realtà è Dio. Un ente non creato. Non c’è niente di più reale e più evidente che Dio.

 

V.Z.L Quali sono le cose che hai  più a cuore?

J.F :  Nutro affetto per gli oggetti.  Ma praticamente non ho nulla. Alcuni vestiti, alcuni libri,la pipa … ho una casa dove nessun dipinto di Modigliani è fuori luogo. E poi la tavola e la tovaglia.

 

V.Z.L : Pensi  che la tua opera si possa identificare con una qualche corrente  poetica?

 

J.F : No, resta fuori da qualsiasi scuola di pensiero. Mai ho seguito qualcuno, sebbene spontaneamente mi consideri un surrealista; loro sono poeti autentici  ma  sono blasfemi e satanici, invece i poeti devono essere al servizio di Dio perché altrimenti stanno al servizio del demonio.

 

 

V.Z.L Perché hai smesso di pubblicare le poesie?

J.F :  In primo luogo perché la pubblicazione dei miei libri me la sarei dovuta pagare. E purtroppo dovevo anche mangiare … Ma fondamentalmente, per paura di perdere me stesso in una  letteratura lontano da Dio.

 

V.Z.L Ti consideri un santo ?

J.F :   Io lo sono. Ma meglio che non si dica, perché  non capirebbero. Per i medici è la malattia a parlare. E non sanno cosa sia un santo. Loro mi trattano da malato come gli altri. Sono guidati da sintomi. Non hanno nessun altro a cui render conto se non hai sintomi. In questa società c’è il divieto di essere santi. Anche da parte della Chiesa.

 

V.Z.L Hai paura della morte?

J.F :  Nessuna paura. Il che rende la strada più paurosa. Oltre a quello che ho detto; Mi considero morto. Un morto vivente. Io vivo in Cristo. Abbiamo tutte le malattie in potenza. Semplicemente diventano visibili al momento della morte.

 

V.Z.L La Bibbia è un testo poetico?

J.F :  La Bibbia è il libro di Dio. È  senza fondo. E  l’Apocalisse è davvero una poesia terribile.

 

V.Z.L Perché scrivi?

J.F :  Lo faccio in modo che i miei atti si conformino a Dio. Cerco la verità e non le tenebre. Scrivo per Dio e per il mio perfezionamento. Dio approva . Detta la lingua di base, in modo che ci si possa capire.

 

V.Z.L Perché dipingi?

J.F :  Per lo stesso motivo per cui scrivo. Gli stessi concetti. Da bambino mi è stato detto che sarei potuto essere un grande pittore;poi ho bruciato tutto. Ora lo faccio per migliorare i miei sensi, esterni ed interni. Solo questa  è  la strada corretta per dipingere e scrivere; fin tanto che  i pittori e gli scrittori non lo capiscono dovrebbero lasciar perdere. Perché non fanno che mentire mentre l’arte è un atto di sincerità.

 

V.Z.L Come vedi questa città?

J.F :  È una città marcia. È  davvero male. Corrotta. Piena di gente depravata. C’è un’ assoluta mancanza di moralità. È una città ipocrita, sembra addirittura che sia naturale l’ ipocrisia .

 

V.Z.L Che cosa ti ha spinto dalla fede ebrea a quella cattolica?

J.F :  Non è  stato un passaggio  dall’essere ebreo all’essere cattolico,  semplicemente  ho riconosciuto la fede  Cattolica, Apostolica e Romana. Perché il fatto che sia Ebreo non si perde. Questa conversione è una concessione di grazia. Perché Dio ha sicuramente trovato il motivo per convertirmi. Per concedermi  la conoscenza e la fede.

 

V.Z.L Avete sofferto  qualche punizione?

J.F :  Sì. Ma non mi lamento. Chi potrebbe, poi, lamentarsi ? Basta ricordare la passione di Cristo!  È accaduto molti anni fa, ero giovane (…) “Io sono il Cristo Rosso” è stata la mia unica risposta alle percosse per poi fermarmi  contro il muro …

 

V.Z.L Perché sei internato qui?

J.F :  Secondo i medici sto male. Avrei questi  disturbi mentali. Credo tuttavia che la maggior parte delle persone convivano  con dei disturbi mentali, anche i medici stessi. La sofferenza più o meno reca psicosi.

 

V.Z.L E qualcuno sa parlare dell’ anima, dell’intelletto?

J.F :  Mah, nel 1942 mi hanno applicato di nuovo l’elettroshock. Pensavano che in questo modo avrebbero scisso la mia malattia dal corpo – Io non mi lamentai. I medici sono buoni, fanno quello che possono. Prescrivono, danno consigli …  se non dovessi star più qui dove potrei andare?. Non ho niente, io non ho nessuno.

 

V.Z.L Che cos’è questa follia che viene invocata nella tua poesia?

J.F :  È un delirio totale. Ci sono forme di pazzia che obbediscono ai nervi centrali e altre ai nervi  periferici. Certo possono  esserci punizioni. Ma ci è concesso di scegliere se  essere buoni o cattivi. Questo vale anche per le mucche. Tuttavia, la maggior parte dei malati di mente non segue questa prassi, valida per qualsiasi malattia, anche il cancro. Ci sono anche persone che sono contente di essere pazzi. La follia  dovrebbe essere considerata da  una prospettiva  morale e a quei poveretti che si trovano qui dovrebbero dare del buon cibo; il cibo è pessimo. Insegnate loro a sedersi al tavolo,a non rubare, a non bestemmiare, ad aver cura della propria igiene. Nella mia poesia ho invocato la follia. Qui c’è follia. Erano state già previste lei mie sofferenze. Io sono il Jacob Fijman che compare nei testi di Nostradamus. Quel giorno ho visto un pugnale e  dissi: “Chissà cosa penseranno di me, chissà cosa mi faranno .” Ma non ho mai voluto essere un dittatore, o uccidere qualcuno. Io sono un santo.

 

V.Z.L Ti senti un malato mentale?

J.F :  No. Assolutamente no. Prima di tutto perché ho un intelletto, agente e pensante. I  miei lavori dimostrano che, non solo,  sono  un uomo di ragione, ma anche di grazia. I medici non capiscono queste cose. Facilmente si comportano bene. Ma non possono essere ciò che non sono. Si limitano a misurare la temperatura della pelle.  Danno pillole,fanno  iniezioni, come se si trattasse di una prassi da magazzino; dimenticano che in fondo è una questione morale. Perché non c’è qualcuno  che possa capire la mente,ma io non li odio. Fanno quello che possono. La cosa terribile è che cercano di non farci morire per la strada ma tanto, poi, moriremo tutti qui.

Testi:

 

De Molino Rojo (1926)

Da mulino rosso (1926)

 

CANTO DEL CISNE

Demencia:

el camino más alto y más desierto.

Oficios de las máscaras absurdas; pero tan humanas.

Roncan los extravíos;

tosen las muecas

y descargan sus golpes

afónicas lamentaciones.

Semblantes inflamados;

dilatación vidriosa de los ojos

en el camino más alto y más desierto.

Se erizan los cabellos del espanto.

La mucha luz alaba su inocencia.

El patio del hospicio es como un banco

a lo largo del muro.

Cuerdas de los silencios más eternos.

Me hago la señal de la cruz a pesar de ser judío.

¿A quién llamar?

¿A quién llamar desde el camino

tan alto y tan desierto?

Se acerca Dios en pilchas de loquero,

y ahorca mi gañote

con sus enormes manos sarmentosas;

y mi canto se enrosca en el desierto.

¡Piedad!

 

CANTO DEL CIGNO

Delirio:

il cammino più alto e  più deserto.

Uffici dalle maschere assurde; tanto umane.

Russano gli ignavi;

smorfie tossiscono

scaricano i loro colpi

muti lamenti.

Volti infiammati; occhi trasparenti

dilatati, nel cammino

più alto e più deserto.

I  capelli si drizzano dallo spavento.

Così molta luce loda la sua innocenza.

Il cortile dell’ospizio come una panchina

segue il muro.

Stringhe dei più eterni silenzi.

Mi  faccio il segno della croce, non ha peso che sia giudeo.

Chi chiamare?

Chi,in un cammino

così alto, così deserto?

Si avvicina Dio in cenci da pazzo,

afferra la mia gola

con le sue grosse mani nodose, e questo mio canto

si fonde al deserto.

Pietà!

 

 

MAÑANA DE SOL

Tañía el sol sus llamas

en los cántaros húmedos del viento

de rocío y paisaje

que alargaba el elástico sendero.

Desentumecimientos.

Carnes del trigo;

espigas en mis manos.

Jadean los aromas;

temblequea cual besos el camino.

Silencios verdes de los bosques rojos

apretados de gozo y alegría.

¡Enloquece en mis ojos la mañana!

 

MATTINO DI SOLE

E nei cori freschi, umidi del vento

scandiva  il sole le sue fiamme,

ecco il  paesaggio aumenta

l’elastico sentiero.

Risorti.

Carne di frumento;

spighe nelle mie mani.

Boccheggiare dagli aromi;

trema di quei baci la strada.

Dal rosso dei boschi, verdi silenzi

abbondano di gioia e letizia.

Impazzisce nei miei occhi il mattino!

 

 

CIUDAD SANTA

Tres gritos me clavaron sus puñales.

Paisaje de tres gritos

largos de asombro.

¡Bromearon los sudarios del misterio!

Fuga de embotamientos;

suspiros

en la niebla inmovilizada.

Cipreses.

Bronce de los terrores

informes, fragmentados.

Mueren caminos

y se levantan puentes.

Un árbol se transforma

cerrando sus pupilas.

Caen medrosamente

las palomas angélicas del sueño

en las uñas heladas del espanto.

Un infinito horror

manaba en mis entrañas

en un himno de muerte.

 

CITTA’ SANTA

Tre grida mi inchiodarono i suoi pugnali.

Un paesaggio di tre grida, quale meraviglia.

Si gioca di  noi il sudario del mistero!

Fuggono i sordi;

sospiri

nella nebbia immobile.

Cipressi.

Sono  di  bronzo i terrori

informi e frammentati.

Muoiono strade

e si erigono ponti.

Si trasforma un albero

serrando le pupille.

Temerariamente cadono

le colombe angeliche del sonno

nel gelo degli artigli del terrore.

Un infinito orrore

per la mia pancia scorre

in un inno di morte.

 

 

TOQUE DE REBATO

Agua de trinos

manó de las gargantas estelares;

nos lavaba la angustia

el silencio concéntrico de los cielos lejanos.

En un andar de media-luz volvían los caminos

y un gran bosque de aromas

tañía en las campanas de la aurora

un himno de la vida.

 

SEGNALE D’ALLARME

Acqua di trilli

sgorgò da gole stellari;

ci spogliava di ogni pena

il  silenzio concentrico di cieli lontani.

Nella penombra ritornavano i passi e grande

un bosco nei suoi aromi

cantava, al rintocco dell’aurora

un inno alla vita.

 

De Hecho de estampas (1929)

Da Fatto di stampe (1929)

 

Poema I

Caía mi sueño en la otra soledad de los canales.

Regocíjate, niño, la presencia graciosa de la muerte

reparte en sombras alternadas el olor de los ángeles

y levanta tus sordos desamparos.

Niño de paz,

han apagado las islas monótonas de los soles perfecto.

Niño de paz,

imito el mundo en un mi sueño ajeno a la claridad.

Un silencio de música se apacienta en las torres.

 

Poesia I

E dai canali il mio sonno cadeva nell’altra solitudine.

Rallegrati bambino, la presenza graziosa della morte

fraziona, per ombre alterne, il profumo degli angeli ed alza

i tuoi sordi e malandati.

Bambino di pace,

han spento le isole monotone dal sole perfetto.

Bambino di pace,

in un sogno alieno alla chiarezza,mio, ripeto il mondo.

Così nelle torri si nutre di musica il silenzio.

 

 

Poema V

Yo estaba muerto bajo los grandes soles, bajo los grandes soles fríos.

A través de mi llanto

oigo el agrio sudor de la precocidad.

Yo vuelvo sobre un musgo

y las ciudades crecen a la aventura hasta la noche del estupor.

Miseria.

Dios pesa.

Me llaman vientos de mar.

Van y vienen en grandes cambios; se alargan en saltos irritados

que apagan mi temblor, que exasperan los sueños.

Jamás podré seguir.

Yo me veo colgado como un cristo amarillo sobre los vidrios pálidos del mundo.

 

Poesia V

Io ero morto sotto grandi soli, sotto i grandi soli freddi.

Con le mie lacrime patisco acido

il sudore dell’immaturità.

Torno a questo muschio e

le città crescono nell’avventura

sino alla notte dello stupore.

Miseria.

Dio pesa.

Mi chiamano i venti dal mare.

Vanno e vengono in grandi mutamenti; si protendono  a balzi nelle fiamme così

estinguono i miei fremiti, esasperano i sogni.

Non potrei proseguire. Eccomi

appeso, io mi vedo – un cristo giallo sopra i vetri pallidi del mondo.

 

 

Poema VII

Roe mi frente dura

el lobo de la media noche.

Una escondida estrella arrima su sosiego.

Entre todos los soles ya se me canta aceite de júbilos.

Siento en mis manos venir la luz entera de la mañana.

 

Poesia VII

Morde questa fronte dura

il lupo di mezzanotte.

Una stella che si eclissa e poi approda al suo sollievo.

Di tutto il sole  già canta il santo spirito. Sento riempirsi le mani,

viene totale la luce del mattino.

 

 

Poema XIII

Más allá de las aguas grises bajan colinas.

Nadie vigila.

Sobre las noches descompuestas concentro mi afinación.

Todo lo nuestro llega; las ventanas amigas entran las lejanías;

pero ya no saldremos nunca de esta mañana opaca.

Avanza hacia nosotros las vueltas seguras de la muerte.

 

Poesia XIII

Più  in là delle acque grige, s’inclinano colline.

Nessuno vigila.

Sopra la notte scomposta medito la mia affinazione.

Ci ritorna tutto; dalle finestre amichevole entra

ogni assenza; e  invece mai usciremo

da questa mattina opaca.

Avanzano su di noi sicure le curve della morte.

 

De Estrella de la mañana (1931)

Da  Stella del mattino (1931)

 

I

Los ojos mueren en la visión desnuda de carne y de palabras,

en la tierra desnuda y en el cielo desnudo,

en el día desnudo y en la noche desnuda bajo los cielos todos crecidos.

Es demasiado bella la noche de oro de muros y banderas luminosas.

Corremos en la noche de plata bajo la noche de oro.

Tierra desnuda, tierra perfecta, cielo desnudo, cielo perfecto.

Voces desnudas de la voz eterna.

En la noche de oro nos llaman las campanas,

y oímos el vuelo de las palomas desde la noche de plata bajo la noche de oro.

 

I

Gli occhi muoiono alla nuda visione della carne e della parola,

nella terra nuda e per un cielo nudo,

nel giorno nudo e nella notte nuda sotto cieli tutti in fiore.

È  troppo bella la notte dalle pareti dorate e bandiere luminose.

Corriamo nella notte d’argento sotto la notte d’oro.

Terra nuda, terra perfetta, cielo nudo, cielo perfetto.

Voci nude  della voce eterna.

E le campane ci chiamano nella notte d’oro,

così ascoltiamo le colombe in volo  dalla notte d’argento ai piedi della notte d’oro.

 

 

III

Amor, Amor, Amor,

estamos en el abrazo de la tierra y el cielo;

veo fragancias abiertas; siento fragancias abiertas.

Corren fragancias de las aguas, corren fragancias de las aguas, corren fragancias /de las llamas.

Soplos perfectos del azul de la noche perfecta besan las almas.

Besan en nuevo, suben en nuevo las moradas de oro.

.En las rodillas de Cristo se asientan las moradas.

Todo de todo se asienta en mi morada,

soplos perfectos del azul de la noche perfecta que sube de la nada a las criaturas.

Amor, Amor, Amor,

la oscuridad del viento, la luz del viento.

Aspiran las estrellas por mi alma y tu alma y el sabor de los días con sus noches

de tierras olorosas donde vienen los soles a aspirar los bosques olorosos.

 

III

Amore, Amore, Amore

siamo nell’abbraccio della terra e del cielo;

vedo generose fragranze, sento generose fragranze.

Fragranze corrono dalle acque, corrono dalle acque, corrono fragranze

dalle fiamme.

Le anime baciano perfetti i soffi d’azzurro –  una notte perfetta.

Di nuovo baciano,  di nuovo salgono alla dimora d’oro .

Lì, sulle ginocchia di Cristo,queste dimore.

Ogni cosa si placa nella mia dimora,

soffi perfetti dell’azzurro della notte perfetta che avanza dal nulla alle creature.

Amore, Amore, Amore,

l’oscurità del vento, la luce del vento.

Le stelle bramano la mia e la tua anima e il sapore dei giorni con le loro notti

profumate di terra dove viene il sole a respirare il profumo dei boschi.

 

 

XIV

Duermo bajo la estrella, mi estrella.

Vísperas de la noche en luz donde comienzan los días y las noches a desmenuzar /las tierras y los cielos.

Amor, Amor, Amor,

se levanta tu luz y el agua salta.

Se levantan tus albas olorosas de suavidad profunda;

se levantan tus soles olorosos de suavidad toda crecida;

se levantan tus lunas olorosas de iluminada suavidad de niños;

y el agua salta albas, lunas y estrellas.

Saltan las albas, saltan las lunas y saltan estrellas.

 

XIV

Dormo ai piedi della  stella, la mia stella.

La  vigilia del buio è nella luce dove cominciano i giorni e le notti a frantumare

terre e cieli .

Amore, Amore, Amore,

Si leva la tua luce e trasale l’acqua.

Si levano profumate le tue albe da un’ armonia tremenda, e da lei

che aumenta, s’alza profumato il  tuo sole;

e la luna si leva profumata dall’armonia luminosa dei bambini;

così  l’acqua salta  le albe, la luna e le stelle.

Saltano albe, salta poi la luna e saltano le stelle.

 

 

XX

Miran mis ojos amorosos ensalzados de llamas los días amorosos y mansos y amorosos.

La gracia limpia mis ojos en la gracia, mis ojos alumbrados en el Nombre.

Nacen y crecen

los angélicos vuelos de la vida y la muerte.

Tu alma canta, mi alma reza

en el olor de voces de voz que nace y olor de voces de voz que muere en suavidad de Cristo.

Corren los días alumbrados, corren las noches alumbradas de su paso.

Mis ojos son los ojos en sus ojos; mis manos son las manos en sus manos.

 

XX

Mirano amorosi i miei occhi infiammati, i giorni amorosi,i giorni miti e amorosi.

Purifica i miei occhi la grazia nella grazia, questi occhi pieni del Nome.

Nascono e crescono angelici

i voli della vita, i voli della morte.

Canta la tua anima,prega la mia anima

nell’ odore delle voci della  voce che rinasce  e l’odore delle voci alla voce che rimuore nella dolcezza di Cristo.

Scorrono  i giorni come le notti illuminati dal suo passo;

i miei sono gli occhi nei suoi occhi e le mie mani sono le mani nelle sue.

 

 

“Un cristo giallo  sopra i vetri pallidi del mondo”

 

Un ebreo nato nel 1898 nell’attuale Romania. Cresciuto e vissuto in Argentina dove si converte  al cattolicesimo, Fijman muore nel 1970  in uno dei maggiori ospedali della capitale; lì, da diverso tempo, era ricoverato a causa di disturbi psichici.

 

 

A far  “quadrare” le parole

Chi è stato, cos’ha seminato per ciascuno di noi Jacob Fijman?

Ho letto, riletto, prima amato e solo poi, forse, conosciuto i suoi testi.

Non è stato facile tradurlo; in una  poesia della sua ultima raccolta, Stella del mattino (1931), scrive di sé –

“ … i miei  sono gli occhi nei suoi occhi e le mie mani  sono le mani nelle sue.”

A far “quadrare” le parole  non occorre  poi  troppo tempo, a lasciare che l’assunto di un altro ti pervada al punto di voler accettare il rischio di  “metterci la faccia” , il cuore, l’anima, può non bastare una vita  – Ecco, la questione era, valeva la pena?

 

Un uomo

Tradotte le poesie restava da tradurre l’autore; un uomo misterioso e drammatico, dalla vita morsa dal buio ed affamata di luce,alimentato dall’ urgenza  di avvisarci, non semplicemente di fare poesia.

 

Non sarei stata capace di proseguire nel lavoro se non mi fossi imbattuta  nella meravigliosa  intervista che il poeta aveva rilasciato nell’ospedale neuropsichiatrico J.T. Borda di Buenos Aires, un anno prima della sua morte, al giornalista Vicente Zito Lema, pubblicata sulla  rivista Talismán nel maggio del 1969. È stata la risposta ad una domanda – banale se vogliamo – la mia chiave di  volta.

 

Ho pensato di riportarla tradotta qui:

V.Z.L : Pensa  che la sua opera si possa identificare con una qualche corrente  poetica?

J.F : No, resta fuori da qualsiasi scuola di pensiero. Mai ho seguito qualcuno, sebbene spontaneamente mi consideri un surrealista; loro sono poeti autentici  ma  sono blasfemi e satanici, invece i poeti devono essere al servizio di Dio perché altrimenti stanno al servizio del demonio.

 

 

“Dio pesa”

Finalmente potevo limare le mie traduzioni, accettando  che Fijman parlasse ancora, questa volta in italiano.

Fijman è  un credente, poi un poeta, un uomo che accetta il rischio di sorprendersi, di cercare e,cosa non secondaria, anche di non capire, pur comprendendo – nel senso di cum prehendere, includendo in sé stesso –  tutto, “il mistero”, “la pena”; lo  ammette col cinismo  di un chirurgo che ha anni ed anni di esperienza, “Dio pesa’’ . Da esperto  apre le  sue cicatrici, scava, osserva –

“vedo  generose fragranze, sento generose fragranze.” – quel che dobbiamo riconoscergli è questa sua vocazione; si fa profeta, fa della poesia un mezzo religioso e, nel cuore del cammino più alto e deserto,

“ Più  in là delle acque grige”- lì dove – “s’inclinano colline. Nessuno vigila./Sopra la notte scomposta” – lui  ammette- “medito la mia affinazione”.

 

L’ennesimo maledetto!

Molto amato e molto odiato, come Baudelaire oltre un secolo prima, anche Fijman a suo modo sonda le  profondità dell’animo umano, denuncia, si disgusta dei suoi contemporanei che si abbandonano ai vizi, alla noia e soprattutto al demonio e pur potendo poco, si mette  in discussione per poi morire povero ed emarginato.

Durante l’intervista con Lema rivela come gli abbiano reso impossibile la  pubblicazione delle sue ultime opere; non è però arrabbiato, né deluso perché sa  – anche ”nella penombra ritornavano i passi e grande/ un bosco nei suoi aromi/cantava, al rintocco dell’aurora / un inno alla vita.”

 

In forza di una speranza

Incontrarsi con F. è alzare bandiera bianca gridando al mistero; un poeta che si addentra  nel paradosso per eccellenza, quello  impraticabile, racchiuso nella fede.

F. non scrive più, medita; respira la sua stessa materia, respira la realtà che è Dio, boccheggia per la strada  in cui si addentra, una strada non solida, alta e deserta, che trema di quei baci e per gli aromi.

 

Scrive di un Dio in cenci da pazzo, che gli  afferra la gola, sa che  non è così e vuole provocarci tutti; gli uomini sono duri a capire e F. lascia che lo si prenda per folle pur di affermare che “la presenza graziosa della morte / fraziona, per ombre alterne, il profumo  degli angeli’’e che un “Bambino di pace, / in un sogno alieno alla chiarezza”  è la speranza per  il mondo.

È in  forza di questa speranza che ammette,fra fremiti e mutamenti –

“Io ero morto sotto grandi soli, sotto i grandi soli freddi./ Con le mie lacrime patisco acido /il sudore dell’immaturità.//  Torno a questo muschio e /le città crescono nell’ avventura / sino alla notte dello stupore. ”

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Traduzione comparsa per la prima volta su clanDestino

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La poesia fa a pezzi il niente

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“La traccia delle vene” di Clery Celeste