Ugo Foscolo risorge nel Meridione degli anni ’40, tra prefiche e contadini con l’elmo in mano

“Non voglio evitare di raccontare una storia, ma voglio, e fortemente, fare come diceva Valéry: dare la sensazione senza la noia di comunicarla” - Francis Bacon

Essere illustratore vuol dire confrontarsi costantemente con una serie interminabile di difficoltà a cui porre rimedio. Alcune di queste sono impensabili per i non addetti ai lavori, altre sono imprescindibili anche per chi non ha idea di cosa faccia un professionista chiamato a essere illustratore: mi riferisco alla magia, all’illusione che rompe il limite della bidimensionalità di un supporto (il foglio, la tela, lo schermo dell’iPad ecc.;) per generare, mediante una serie di procedimenti tecnici compositivi, immagini d’effetto e convincenti. Ma questo, come dicevo, è forse il primo e il più banale scoglio che un illustratore trova per strada ogni volta che si approccia ad un nuovo progetto. Ce ne sono molti altri. Problemi di natura visiva, stilistica, tecnica, concettuale, intellettuale, filologica, che agli esordi di una nuova collaborazione si ripresentano sotto vesti diverse e l’illustratore sta lì, mette in atto una ricognizione per districare ogni nodo e trovare una quadra: rendere conto all’Editore o all’Art Director delle sue scelte, trovare un compromesso con le esigenze di mercato, senza tradire il proprio stile. È complesso far comprendere a chi non è illustratore (sebbene lavori nel mondo editoriale) che avere le capacità per eseguire una tavola non vuol dire essere disposti a realizzarla come la farebbe Tizio o Caio, in quella certa maniera divenuta mainstream da due mesi o secondo le nuove tendenze individuate oggi da Artribune, domani direttamente dal feed del nostro account Pinterest.

Per quanto l’illustrazione sia un’arte applicata con funzioni di supporto, di comunicazione e simboliche, che si serve di codici ben strutturati per integrare visivamente la parola scritta, si tratta comunque di un’arte e in quanto tale gli artisti-illustratori non sono, non possono essere considerati meri esecutori, ingranaggi dell’editoria, intercambiabili. I bravi illustratori, quelli che hanno scavato nel profondo del loro animo per riemergere con una propria, personalissima, visione del mondo, non ledono il loro linguaggio, la loro dolorosa ricerca, per lavorare.

In un contesto come quello descritto, Il Saggiatore ha, per lo meno in questo caso specifico, scelto di stare al suo posto, affidando la messa in scena dell’opera Dei Sepolcri di Ugo Foscolo all’illustratore con le giuste vibes, Marco Cazzato – torinese, classe ’75 con all’attivo diverse collaborazioni con importanti testate come “Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Il Sole 24 Ore”, “Linus”, con diverse case editrici e con il Torino Film Festival.

Ero tra i partecipanti durante l’intervista all’illustratore inoccasione del SalTO22, presso la Scuola Internazionale di Comics di Torino che, in collaborazionecol Salone OFF,ha ospitato martedì 17 maggio Cazzato, in dialogo con il direttore artistico dell’Accademia, Andrea Serio. La conversazione ha avuto come argomento centrale I Sepolcri (Il Saggiatore, 2021), ma Serio e Cazzato hanno condiviso con i presenti anche i retroscena di un lavoro che troppo spesso sembra fatto di soli disegni e leggerezza quando invece sono all’ordine del giorno le difficoltà e i tabù di un mondo editoriale sempre più imprenditoriale.

Operare una riedizione illustrata di un classico è, in effetti, una scelta anch’essa divenuta mainstream, senza nulla togliere alla volontà di rendere più appetibile per le nuove generazioni (è così?) un classico con cui probabilmente il rapporto è complicato – penso però che qui il problema sia da rintracciare nella maniera in cui il nostro stato ha ridotto scuola e insegnanti a servire la minestra riscaldata ai giovani discenti – ma, chiuso l’inciso, va ribadita la bontà dell’operazione realizzata dall’illustratore.

Il punto di partenza è uno ed è semplice, illustrare non significa parafrasare visivamente il testo, soprattutto quando il testo è un classico: al contrario, è necessario trovare una chiave visiva interpretativa originale per restituire quella suggestione. Enel casodel Foscolo il nodo era riuscire a recuperare la laicità della domanda tra le domande, quella sulla vita e sulla morte. Niente di nuovo, dunque un rischio altissimo per chi illustra.

Di fatto, Cazzato si è trovato a fare i conti con un carme intriso di digressioni e rimandi a citazioni, la cui illustrazione certo non poteva esaurirsi mettendo in atto un tentativo di studio iconografico del contenuto testuale. In effetti, quale illustrazione, quale atmosfera, quale frame cinematografico un illustratore può partorire per raccontare la memorabilità di Troia, i vinti, i vincitori e tutta quella poesia che è denuncia ma anche testamento? O ancora, come restituire al lettore contemporaneo le lacrime di’mbrosia che un Giove più umano di noi versa per la dipartita di Elettra? Cosa disegnare senza che le immagini già evocate dagli endecasillabi risultino impoverite, anziché arricchite? E come mantenere una qualche coerenza visiva per tutto il carme?

Sono state queste domande, ha detto Cazzato, a portarlo a studiare le ventiquattro illustrazioni che compongono il volume secondo una lettura diversa, una lettura che inevitabilmente ha preso piede dalla storia del Cazzato, questa volta lettore-archeologo della memoria, perché questi suoi ricordi diventassero materia per arricchire e mettere in scena, diversamente, la riflessione foscoliana. Il risultato è stupefacente. Il volume è un prezioso reportage di scene di vita quotidiana di una qualche cittadina del sud Italia durante gli anni ’40, e a questo punto un lettore curioso oppure diffidente potrebbe chiedersi, come mai? Cosa è successo nel frattempo? Questo salto temporale cosa c’entra? Niente! O meglio, c’entra nel momento in cui si comprende che qui non si tratta di una normalissima riedizione ma gli autori adesso sono due e anche il secondo ci ha messo del suo.

Cazzato ha ripescato dalla propria storia individuale le vicende del nonno, un contadino salentino, e ha creato un immaginario telaio per tessere assieme domanda foscoliana e memoria meridionale, con una sua epica fatta di mura bianche in mattoni crudi, monumenti ieratici, pose apparentemente statiche – come cartoline dal passato – eppure dense di quello stesso pathos che nei versi di Foscolo si fa tensione verso l’eternità. Ecco come i versi “[…] e all’orror de’ notturni/ silenzi si spandea lungo ne’ campi / di falangi un tumulto e un suon di tube / e un incalzar di cavalli accorrenti / scalpitanti su gli elmi a’ moribondi, /e pianto, ed inni, e delle Parche il canto”, sono accompagnati da una delle pitture più commoventi del volume: un contadino, con al fianco il cavallo, alle spalle uno di quei muri bianchi di nostalgia, e sottobraccio – qui c’è tutta la potenza creatrice di un illustratore – un elmo, che è il ponte impercettibile tra i due linguaggi (la parola e l’illustrazione) e anche testimonianza, storia, tributo a quella memoria necessaria all’uomo per costruirsi un futuro ricordando il passato. È tutto lì.

Oppure, vi ricordate i versi “Cosí orando moriva. E ne gemea /l’Olimpio; e l’immortal capo accennando / piovea dai crini ambrosia su la Ninfa, /e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba”? La tavola realizzata per loro è la rappresentazione delle prefiche, che fino agli anni ’50 davano un prezzo al dolore (altrui) vendendo le loro lacrime (e il loro tempo) ai parenti del morto perché il funerale fosse adeguatamente pianto. Lo comprendete anche voi lo scarto, il “di più” che l’illustratore – Cazzato – ha compiuto superando la parafrasi?

Il lavoro dell’illustratore è insieme quello di regista, sceneggiatore e costumista teatrale. Il libro illustrato ne è la messa in scena. A volte le riedizioni sono solo trovate commerciali, in altre (fortunatamente) c’è in gioco qualcosa in più; la versione dell’opera foscoliana illustrata da Cazzato è la prova che l’arte riesce a far risorgere le grandi opere.

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Nota a “Se scendevi per strada” di Daniele Giustolisi

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