Gli spazi bianchi di Sabrina

Nota a Vuoto Frontale, CAPIRE edizioni, 2020

La poesia di Sabrina Amadori accade come una fenditura, visivamente richiama Fontana nelle sue opere spazialiste. Come Fontana ha visto necessario aprirsi un varco nella tela per offrire il luogo dell’ossimoro luce-buio, anche Sabrina taglia la sua opera per restituirci una poetica che dal bianco della pagina vede emergere i suoi versi, rapidi, incisivi, misurati:

“Posiamo le armi

la tempesta sul comodino.

La notte è un lago di dolore.”

Tutto esige spazio, luoghi per accadere, la notte non è un tempo ma un luogo, un lago, la tempesta non è fuori ma dentro, accanto a noi, sul comodino. Così il vuoto – tratto caratterizzante che torna più volte nel libro – è frontale, non è un’idea, una possibilità che incombe ma una presenza nello spazio, dai confini determinali, è visibile, è la sponda del suo viso:

“La sponda del tuo viso
è terra sfiorita in inverno
vuoto frontale.”

Sabrina non ci invita a riflettere sulle questioni che la vita sempre ci pone, non vuole dare soluzioni bige, no. Lei è con questo suo libro cronista sentinella:

“Gli occhi sono pareti
vetri, fiumi spezzati
si resta appesi a un urlo
il cuore luce e tempesta
dall’altra parte è tutta foresta.”

O ancora quando leggiamo:

“La notte ha l’odore della guerra
del silenzio che precede la resa
il vuoto abissale del mare
le stelle sanguinare negli occhi.”

Non c’è fraintendimento; o siamo nella vita o le passiamo accanto senza interazione ed è guerra, in Vuoto frontale l’interazione, il contatto c’è, è necessario e costituisce il comporsi di un’altra dimensione, di un tempo fiorito in silenzio che l’autrice coglie e imprime, tagliente, sulla pagina.

E qui dialogano, a volte con ferocia, l’amore e il dolore, l’ordine e la paura; mentre fuori, ancora /ogni cosa ripete e l’inverno è un lungo spazio bianco, tutto occupa una posizione:

“Tutto occupa una posizione
anche la sera che si ricompone
nel silenzio degli oggetti.
Torniamo in tutte quelle cose
obbligate a prendere un posto,
l’ombra della casa
come misura del passo
che lascia aperta la strada
confine del corpo
che si abitua a perdere.”

Ma anche quando la voce di Sabrina si dirige verso una poesia all’apparenza più rassegnata, anche quando Bruciano sul corpo/ le ombre ormeggiate/ sulla riga dell’acqua, ecco ancora l’ossimoro d’accordo con Fontana, corrono l’aria/ le bambine sbocciate/ dalle pietre del mare.

Dalle Pietre, qualcosa di improbabile e infatti quella di Sabrina è anche poesia dell’improbabile, di una mente attenta che devia in noi lettori lo sguardo verso una più verosimile versione di noi stessi, capace anche di atti di fede:

“Io non mi so più
non mi conto che in un cuore
fermo all’equatore.
In questo eterno inverno
respirarti è un atto di fede
un’attesa infinita di neve.”

Nota di lettura pubblicata sulla testata giornalistica online Rivista clanDestino nel mese di luglio 2020.